In un paese lontano regnavano in un castello un Re e una Regina, amati dai loro sudditi.
Ma un cruccio turbava la vita dei regnanti: non avevano figli, e perciò era problematico avere un erede al trono.
Avevano un nipote, la sorella della regina infatti aveva un figlio, tutto il loro affetto lo riversavano su quel nipote, ed un domani anche le loro ricchezze sarebbero probabilmente passate a lui.
Perciò nutrivano in cuor loro la speranza di avere un figlio, ma più il tempo passava, più le speranze si affievolivano.
Ma un bel giorno con sua grande sorpresa, la Regina annunciò al Re che probabilmente avrebbero avuto un figlio.
Il Re trionfante cominciò a dare ordini per i preparativi della nascita così a lungo sperata.
E dopo pochi mesi il giorno tanto sognato arrivò. La Regina diede alla luce un meraviglioso bambino.
Furono invitati a corte tutti i più illustri nobili del Regno per presenziare ad un fastoso banchetto.
Si fece festa in onore del principino ed ogni nobile portò con se regali favolosi da donare al futuro Re. Furono fatti al principino auguri di ogni bene, e gli augurarono anche che potesse crescere con le migliori doti: bontà, onestà, generosità e saggezza.
Fu chiamata a fare da madrina una giovane fata che abitava isolata su una delle torri del castello, la quale baciò in fronte il nascituro e gli mise al collo una catena d'oro con una medaglia anch'essa d'oro e con una gemma al centro di pietra dura. La medaglia aveva arte magica ed essa le sarebbe stata all'occorrenza utile per affrontare pericoli, se ce ne sarebbe stato bisogno.
Il giovane principe intanto cresceva bello come il sole e le doti che gli avevano augurato alla nascita sembravano germogliare nel suo cuore di adolescente. Tutti lo amavano e non aveva nemici.
All'età di 15 anni fu organizzata una battuta di caccia alla volpe per festeggiare il compleanno del principe. Nella riserva reale al suono del corno tutti erano partecipi alla battuta di caccia. Anche il nipote della regina, cugino del principe, era presente. Egli in cuor suo nutriva invidia per il futuro re il quale gli aveva diminuito l'affetto dei regnanti e la possibilità di diventare egli l'erede al trono. Perciò quel giorno pensò di vendicarsi.
Entrambi cavalcavano affianco per la caccia, quando giunti in riva ad un ruscello, avrebbero dovuto far saltare i loro cavalli all'altra sponda per inseguire la volpe. Ma ad un tratto il cugino, diede uno strattone alle briglie del cavallo del principe, il quale si imbizzarrì, si impennò e disarcionò il suo cavaliere, il quale cadde in acqua picchiando la testa sopra un masso. Il corpo rimase immobile un istante, poi la corrente lo trascinò via. Il cugino ritornò alla reggia come se nulla fosse successo.
A sera il Re diede ordine di cercare il principe. Si cercò in ogni angolo del territorio reale, ma il principe non si trovò, fu trovato il cavallo ma del suo cavaliere nessuna traccia.
Le ricerche furono inutili anche nei giorni seguenti, il Re e la Regina non sapevano darsi pace e cominciarono a pensare che il Principe fosse morto annegato nel torrente, perché in quel punto avevano incontrato il cavallo, anche se il loro cuore diceva di no.
Intanto un pastore che potava il suo gregge al pascolo portò ad abbeverare le sue pecore al torrente e vide come un abito cencioso aggrappato a dei rami immersi nell'acqua. Si avvicinò incuriosito e con suo grande stupore si accorse che era un giovane.
- Mio Dio! - esclamò, si caricò sulle spalle il giovane e lo portò nella sua povera casa.
Quando fu arrivato lo adagiò sul pagliericcio e si accorse che il giovane aveva perso i sensi ed era febbricitante. Per giorni interi il pastore lo curò con amore senza mai riposarsi e quando si accorse che il malato migliorava e poteva parlare, lo interrogò, per sapere di lui, ma ahimè il giovane aveva perso la memoria e non ricordava proprio nulla del proprio passato.
Il pastore lo tenne presso di se e con il tempo gli insegnò a fare il suo stesso mestiere, così il giovane divenne pastore.
Portava le pecore al pascolo, dal monte al piano, dal piano al monte, secondo le stagioni per trovare pascoli verdi e fertili per il suo gregge; intanto girava paesi e città.
Un giorno il giovane pastore capitò in un grande paese lontano, dove non si era mai recato, un paese nuovo per lui.
In quel luogo le sue pecore non avevano mai pascolato, ne' brucato l'erba che a vedersi era fertile e tenera. Il paese era di vasta estensione, ma sembrava disabitato, per giorni interi il pastore non vide anima viva, si ristorava alla fontana e si nutriva attingendo alla sua bisaccia che conteneva pane e formaggio. Ma era certo che qualcuno ci abitasse poiché ogni giorno il campanile della chiesa scandiva sonoramente le ore.
Un giorno vide una giovinetta con un cesto sulla testa che tornava frettolosamente a casa.
Il pastore la fermò e le chiese come mai in quel paese non si vedeva mai in giro nessuno. La giovinetta rispose spaventata ed agitata:
- Fuggite per carità da questo luogo, non sapete quale pericolo potete correre! Padrone di questo paese è un orco terribile che vive in un castello di rocce scavato nella montagna, egli miete molte vittime, tutti noi siamo costantemente in pericolo. Fuggite, fuggite voi che potete! - proseguì affannata.
Ma il pastore con voce calma e pacata continuò:
- Nessuno ha mai tentato di combatterlo?
La ragazza aggiunse:
- I cavalieri più nobili e coraggiosi dei vicini paesi ed anche di città lontane hanno tentato l'impresa, ma sono rimasti anch'essi vittime della ferocia dell'orco e la loro spada ed il loro coraggio sono risultati inutili.
La ragazza ammonì con voce soffocata un'ultima volta il pastore:
- Vi prego fuggite, non restate, fuggite.
Ma egli rispose risoluto:
- Io distruggerò l'orco.
La ragazza non lo udì neppure ed entrò precipitosamente in un portone e lo richiuse dietro di se a chiave.
Il pastore si armò di coraggio e si diresse al castello di roccia in cima alla montagna. Appena fu sul cucuzzolo, davanti al castello di roccia, un tuono sembrò far tremare la terra. L'orco era uscito dal castello ed era di fronte al giovane minaccioso, la sua risata sarcastica faceva tremare la montagna.
- Sei venuto a combattermi senza armi? E come pensi di farlo? Sei sciocco ed ingenuo. - tuonò la voce.
Il giovane non si scompose, aprì la sua camicia e fece brillare la medaglia che portava al collo.
L'orco ruggì peggio di un leone ferito, contorcendosi e facendosi più minaccioso. Ad un tratto sembrò aver ragione delle forze del giovane, ma la luminosità della medaglia lo colpì agli occhi, così che l'orco sembrò cadere come colpito da una folgore ed il suo corpo divenne di pietra. Di quell'essere minaccioso e crudele non restava che una statua.
I cittadini uscirono a gruppi dai loro nascondigli per accertarsi personalmente della nullità dell'orco. Erano finalmente liberi dalla schiavitù dell'orco e felici.
Fecero capo assoluto del loro paese il giovane pastore preparandogli solenni festeggiamenti.
Così il pastore divenne sovrano di quella città. Ma le gesta del giovane uscirono dai confini ed arrivarono all'orecchio del Re e della Regina i quali si misero in viaggio per conoscere e complimentarsi di persona con il giovane eroe che aveva salvato un paese distruggendo il suo tiranno.
Si avviarono alla casa del giovane e quando lo videro non riuscirono a frenare la commozione: la medaglia che il giovane portava al collo diceva chiaramente che egli era il loro figlio scomparso.
A quell'avvenimento il giovane Principe parve ricordare e pian piano la memoria gli ritornò nitida e lampante.
La Regina raccontò come il cugino fosse stato anch'egli vittima della crudeltà del tiranno nel tentativo di annientarlo.
Si fecero in seguito festeggiamenti grandiosi e si decise che la statua dell'orco fosse messa su un piedistallo di marmo ed esposta nel centro della piazza per ricordare lo scampato pericolo e la libertà ritrovata.
Il principe visse per molti anni amato ed ossequiato dai suoi sudditi. Le sue leggendarie gesta vengono ancora cantate in tutta la contea di quello stato e la statua dell'orco è ancora esposta nella piazza, ma non incute più timore ma tanta speranza per un avvenire sempre migliore.
MORALE: La libertà degli uomini è il bene più grande che vi sia su questa Terra, bisogna difenderla e conservarla per sentirsi veri uomini.
Milano, 1976
Nonna Mariuccia
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