martedì 20 maggio 2014

SPEZZA-SOGNI VATTENE VIA...

Siamo forti. La natura stessa ci rende così. Ci sprofonda nel fango più melmoso ma poi ci fornisce anche i mezzi necessari per uscirne da soli. E non credo che ci sia bisogno di essere speciali per riuscire a superare le più becere difficoltà. Forse basta avere voglia di affrontare le situazioni con grande fiducia in sé stessi e nell'Universo. Come fece Nadine. La mia cara compagna di liceo italo-francese.
Stavamo vivendo anni di grande vitalità e di grande benessere in Italia: i famosi anni 80! Si assisteva ad una vistosa esplosione di consumi dove bande  di  giovani si univano sotto il simbolo di un’etichetta o di un marchio di fabbrica e la privatizzazione iniziava a trionfare. La finanza era a portata di tutti e chiunque rischiava quel po’ di quattrini che aveva investendo in Borsa e seguendo quotidianamente con ansia gli andamenti dei propri titoli al televideo. 
Un Italiano su tre aveva un mezzo di trasporto proprio, due televisioni, un videoregistratore e un abbonamento in palestra. Tutto il lusso sembrava a portata di mano.
Il marketing stava creando i primi presupposti per diventare un grande fenomeno commerciale; aprendo ogni confezione di generi alimentari si poteva trovare un' esplosione di sorprese e regalini. 
In questo contesto maturò la nostra amicizia di stampo propriamente femminile appena Nadine, arrivata da Parigi, mise piedi nella nostra classe. Un'amicizia nata velocemente la nostra, un po’ per caso e un po’ per necessità, costrette dall'esigenza di convivere giorno per giorno sui banchi della stessa classe in un liceo artistico della Milano bene. 
Il liceo artistico a quei tempi per molti di noi è stata una vera opportunità; laddove la quotidianità arrivava a negare l’affermazione di noi stessi obbligandoci a rinunciare a qualsiasi forma di spontaneità e inquadrandoci come perfetti robot, la creatività artistica ci regalava una salvezza ovviando ad un’insofferenza spesso sopita e spostando il nostro desiderio di libertà un po’ al di là degli schemi.
Un’amicizia fatta di pettegolezzi ma anche di solidarietà, di litigi ma anche di riappacificazioni, di gelosia ma anche di fiducia, di tutti quei sentimenti tipici e contrastanti dell’età adolescenziale. Quell'età in cui cambiano i nostri rapporti con i famigliari che reputiamo ostili e si cerca tra i nostri coetanei quello che più di altri può essere idoneo a darci conforto e a farci sentire più sicuri di noi stessi.
Nadine per me era diventata presto la persona a cui potevo raccontare tutto senza vergogna o paura di essere giudicata. A lei aprivo il mio cuore pieno di dubbi, di limiti, di difetti e sapevo che lei mi accettava per quella che ero: una ragazza tutt'altro che a modo ma schietta e sincera nelle mie relazioni.
E il mio carattere aiutò anche lei a fidarsi e confidarsi molto con me. Soprattutto quella sera, quando quella confessione sussurrata ci rese ancora più unite e inseparabili, complice il cielo terso di una notte dall'aria pulita mentre eravamo in vacanza per la prima volta da sole in Sicilia.
Scoprii che Nadine non si era trasferita a Milano per perfezionare il suo italiano come tutti credevamo, ma fuggiva da un sopruso subito.
Nadine era l’ultimogenita di una famiglia abbastanza numerosa dove i figli, tre e tutti maschi, abbandonati a loro stessi, crescevano nell'oblio e nell'assenza di una madre incapace di seguirli e sottomessa dalla violenza di un uomo affermato, alcolizzato e senza scrupoli.
Crebbe in un clima famigliare caratterizzato da schiaffi e angherie e con la percezione di essere indesiderata perché arrivata inaspettatamente.
Aveva dodici anni quando il padre abusò per la prima volta di lei senza che la madre lo sapesse. Dopo di lui, anche i fratelli più grandi fecero valere il loro diritto naturale di maschio.
Da allora ciò che Nadine viveva abitualmente in quella casa era diventato pian piano anche l’unico modo per rapportarsi con gli altri, i compagni di scuola e i coetanei che frequentava per la strada:  trasgressione e malizia divennero il suo metro di valutazione nei rapporti con gli uomini in generale, reprimendo l’ ardore e la passione tipici dell’adolescenza.
Nadine l’amore non l’aveva ancora conosciuto. Non aveva mai ricevuto una carezza dalla madre quando era bambina e la figura maschile nella sua mente rappresentava un Orco cattivo nato con l’unico scopo di frantumare i sogni, spezzare i castelli dorati e sporcare di sangue il suo abito rosa da principessa.
Nessuno intervenne ne' si accorse di nulla per qualche anno; le Istituzioni non avevano probabilmente le competenze di oggi e nemmeno la consapevolezza per arrestare quella che divenne poi una vera e propria catastrofe. 
Nadine crebbe in un continuo degrado e orrore fino a trovarsi (per fortuna) in un pronto soccorso con una caviglia rotta e il corpo tumefatto.
Per ovvi motivi dichiarò di essere caduta accidentalmente, ma i lividi sparsi su tutto il corpo non convinsero a fondo i medici i quali ritennero fosse il caso di trattenerla a lungo in osservazione per svolgere degli accertamenti. 
Intanto arrivarono psicologi ed assistenti sociali ad indagare sull'accaduto e, messa sotto torchio, finalmente Nadine confessò tutto lasciandosi andare in un pianto liberatorio.
A quel punto Vic, l’Assistente che si prese cura del suo caso, decise con la sentenza del Giudice Minorile di Parigi di togliere Nadine all'affido dei genitori e di assegnarla ai servizi sociali. Ma sul punto di firmare tutte le carte si fece viva la cugina naturale della madre che viveva a Milano in una realtà più serena e strutturata, la quale, venuta a conoscenza della situazione, propose di prendersi cura di questa giovane ragazza un po’ imbruttita dalla vita e con poca voglia di vivere rimastale.
Dopo i vari controlli Nadine scampò al collegio e venne affidata alla sua nuova famiglia composta da marito, moglie e un figlio piccolo di soli quattro anni che divenne il suo nuovo fratellino, Luca.
Il primo anno fu per lei terribile: si lavava di continuo perché si sentiva sporca e si era sottoposta ad una terapia intensiva a base di psicofarmaci e a degli incontri programmati con esperti di recupero mentale. Tutti questi rimedi restituirono pian piano a Nadine sembianze umane. Iniziò a sorridere, a provare gratitudine, a vedere la vita con un po’ più di speranza e colore. 

Fu questo il momento della svolta per lei. Il coraggio e la volontà di trasferirsi in un paese sconosciuto senza la padronanza della lingua furono premianti. Un ambiente nuovo ignaro del suo passato dove ricostruirsi daccapo un’identità che la vedesse in prima persona un soggetto e non l’ oggetto dei più perversi desideri maschili fu l’opportunità giusta per Nadine di ricominciare una nuova vita. Quando arriva nella nostra classe ha solo un anno in più rispetto a tutte noi ma si sente molto più vecchia e un po’ consumata dalla vita. E’ la speranza a riaccendersi in lei nella magia che si cela dietro ad un abbraccio, nel gesto di un sorriso o di una stretta di mano: quel calore a lungo atteso che fa la differenza nel suo vivere quotidiano e la restituisce ad una degna esistenza.
Così è la nostra forza. Un po’ arriva da noi. Un po’ arriva da persone speciali di cui è pieno il mondo ma che spesso non riusciamo a vedere soffocati come siamo dalle nostre paure di lasciarci aiutare e di fidarci. I traumi segnano è vero, ma spesso sono un aiuto per darci il giusto coraggio di guardarci dentro e di cercare il meglio per noi stessi, sempre. Solo se hai il coraggio di scavare in profondità, arrivi a guarire le tue ferite più intime e a ristabilire la connessione perfetta con la tua vera essenza. Non bisogna mai dimenticare quanto valiamo come essere umani. E la sorpresa che ci attende quando lo si comprende è davvero infinitamente grande!

Sonia Cascitelli

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