“Odio le donne, sono pratiche, deboli, imprevedibili e troppo realistiche per me. Amo le bestie perché sono più spontanee. Vieni a cena con me uno dei prossimi giorni?”.
Deglutii con forza il nodo che mi si era appena formato in gola dopo quelle parole e presi il coraggio di dire: “Come vuoi che mi vesta, da tigre o da pantera?”.
Rise. Mi prese la mano con eleganza. Me la baciò velocemente e si allontanò fissando il suo sguardo nei miei occhi e facendomi segno con la mano che ci saremmo visti più tardi lì in giro tra quei locali in festa.
Rimasi immobile, con il mio calice di Champagne in mano consumato a metà e con un’irrefrenabile voglia di prenderlo a calci in culo.
Ma come si permetteva di essere così sfacciato e irrispettoso? Chi si credeva di essere sto Lorenzo Strada, o, come amava farsi chiamare dagli amici Lory Street anche ora che era cresciuto?
In teoria sapevo tutto di lui, un affermato Avvocato della Milano aristocratica la cui fama aveva raggiunto anche le mie orecchie. In pratica non sapevo ancora niente.
Indubbiamente un uomo affascinante fin dai tempi del Liceo, ma dal carattere sempre cinico e ancora piuttosto acerbo. Si spifferava in giro che fosse scapolo da sempre ma mai completamente solo. Ogni donna che l’aveva conosciuto ne era rimasta affascinata a lungo, ma si diceva che sapesse scegliersele bene le sue prede: non andava mai con chiunque.
Prede, esattamente. Come le bestie che diceva di preferire alle donne.
E quella sera, al raduno liceale, Lorenzo aveva scelto me: scarpe senza tacchi, occhi senza trucco, dita senza smalto e camicia senza decoltè. Forse, per l’appunto, quella che nella sua mente poteva sembrare una facile preda!
Non mi scomposi più di tanto e continuai la mia serata brindando e conversando con i vecchi compagni di scuola ritrovati cercando di far affiorare nella mente i ricordi dei begli anni trascorsi insieme.
Qualcuno cercava Ivano, il bello del gruppo, per constatare se il tempo l’avesse conservato intatto. Ma lui non comparì. Voci esperte dicevano che era finito in un giro strano, o addirittura fosse rinchiuso in galera, ma ogni cosa detta e riferita veniva puntualmente rimessa in discussione da altre voci ancora più pettegole e smaliziate.
Intanto era calata la sera e la frescura degli alberi in giardino metteva i brividi sulla pelle. Io e il mio gruppetto di amici rientrammo nel salone dove, ad un pianoforte stava suonando il mitico Jerry e tutto intorno si erano radunati i più audaci a far uscire le loro corde canore dall'ugola.
E fu proprio lì, in quella piccola folla riunita che scorsi lui: Fabrizio. Difficile credere che fosse davvero lui, così diverso ed estroverso da allora. Ma lui capì il mio sconcerto e si fece riconoscere. Si avvicinò, mi tese la mano e mi disse: “Ciao Viviana, che piacere rivederti!”. Rimasi colpita e segretamente commossa da tanta bellezza e gentilezza. Per la prima volta e forse unica, mi sentii vulnerabile. Di fronte a quel sorriso e a quegli occhi trasparenti avrei potuto commettere anche il più stupido degli errori.
Fabrizio fu un fulmine a ciel sereno in quella primaverile notte stellata ed io, al suo fianco, la più piccola degli atomi esistenti sulla Terra.
Mi invitò ad uscire in terrazzo con la scusa di scambiare due chiacchiere lontano da quel chiasso. Accettai volentieri con l’invidia che leggevo negli occhi delle mie compagne rimaste in salone e la complicità di Flora che mi era sempre rimasta affezionata.
Fabrizio era molto elegante sia nei modi che nel vestire e quella sera decise che io sarei stata la sua damigella d’onore. Ballammo spesso insieme e non mi abbandonò un istante. Tra un ballo e l’altro mi parlò un po’ di sé e del piccolo mondo che si era creato dopo la perdita della madre: qualcosa che aveva a che fare con interessi finanziari. Parlava di solitudine, di tedio, di viaggi, ma mai di sentimenti.
Lanciai uno sguardo frettoloso alla sua mano sinistra e notai con prevedibile piacere che non aveva legami evidenti sul dito anulare.
Anch'io ero sentimentalmente libera e interessata ad approfondire la conoscenza di questa nuova persona che ai tempi del Liceo non mi degnava nemmeno di uno sguardo a causa della sua timidezza.
La mia mente prese a fantasticare verso luoghi romantici e solitari in cui mi vedevo stretta dalle sue braccia e le immagini che scorrevano come un film in velocità stavano cavalcando praterie immense di paradisi sperduti.
Poi il colpo di shock a spazzolare ogni mia fantasia: due carabinieri che lo ammanettarono e portarono via davanti ai miei occhi con l’accusa di aver abusato la sera prima di una minore.
Da lì il buio totale. Svenni e persi i sensi per risvegliarmi qualche ora dopo in un letto d’ospedale con una flebo al braccio. Al mio fianco Lory Street che mi teneva la mano e che manometteva gli eventi approfittando della mia temporanea debolezza e mancanza di lucidità. Mi fece credere che avevo bevuto troppo e che avevo avuto uno shock etilico ma che prima avevamo consumato una grandiosa notte di sesso e che lui era innamorato perso di me.
La mia mente annebbiata e confusa faticava a credere e a reagire a quelle parole. Ma dopo due giorni venni dimessa e, tornando a casa mia, ricevetti una lettera proveniente dal carcere:
“Viviana, evidentemente è tutto un malinteso, hanno commesso un errore, scambiato un’identità, non lo so. Non sono io la persona che cercano. Ti devi fidare. Ho bisogno di un buon Avvocato. Io sono solo. Aiutami, ti prego”.
Ero ancora debole per capire cosa stesse succedendo ma qualche breve flash-back iniziava a farsi strada nel mio cervello. Sentivo la musica, poi il frinire delle cicale. Intravedevo qualche faccia, per lo più sconosciuta e poi, nebbia.
Mi squillò il telefono. Era Flora, voleva sapere se mi fossi ripresa. La sua voce calda e premurosa mi aiutò a ricordare. In casi di smarrimento solo il calore delle persone ha un effetto terapeutico. Decise di venirmi a trovare per far luce nei miei ricordi. Le mostrai la lettera di Fabrizio e le chiesi se mi potevo fidare. Non sapeva cosa dirmi ma pensava di si. Sentivo di nutrire un sentimento profondo per quell'uomo e lo volevo aiutare.
“Dobbiamo trovare un Avvocato, un buon Avvocato”, dissi a Flora.
Lei mi guardò e mi disse un solo nome: “Lorenzo Strada!”.
“So già che non lo farebbe mai”. Dissi io. “E cosa te lo fa credere?” replicò lei.
“Il fatto di averlo trovato al mio fianco in Ospedale e di avermi fatto credere che abbiamo avuto una relazione quando so che non è vero! Quell'uomo non mi piace!”.
“Ah si?” - esclamò sorpresa Flora che aveva una questione in sospeso con lui fin dai tempi del liceo – “Ma bene, allora la cosa è fatta!”.
“In che senso?” pronunciai io.
“Cara la mia ingenua Vivienne….vieni qui….per una volta tu ed io ci prenderemo la giusta rivincita sugli uomini cinici e sicuri di sé!” Disse Flora. Sul suo cammino la mia amica aveva sempre incontrato uomini spocchiosi e inaffidabili e aveva pertanto coltivato una tattica di difesa e combattimento disarmanti nei confronti del genere maschile. Per un po’ fu la mia maestra di vita e mi trasmise una sorprendente tecnica di “prendi e lascia” che nemmeno i più abili pescatori avrebbero saputo utilizzare.
Insieme colpimmo il bersaglio Lorenzo raggirando con le più frivole abilità di cui dispongono le donne la sua debole caratura. E presto scoprimmo, come sospettavamo, che Fabrizio non era colpevole. Purtroppo spesso accade che si venga coinvolti in una brutta situazione per via di qualche mente diabolica che commette degli sbagli o pronuncia delle parole inopportune.
E spesso le menti diaboliche sono lì, ad un passo da noi e non è così facile stanarle.
Ma chi è desideroso di giustizia e ha la coscienza limpida e inattaccabile, riesce a scorgere un po’ più al di là dello spessore superficiale di cui un disonesto si riveste.
Lorenzo vinse la causa di Fabrizio e perse quella di Ivano, l’amico e cliente che stava coprendo….
Io e Fabrizio siamo solo buoni amici. Per ora.
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