e ogni volta scompare nel sonno di un abbraccio e ogni volta riappare nel fruscio di uno sguardo.
Quando improvvisamente tu batti le ciglia e diventi un qualcosa che ti assomiglia,
e che torna lontano come un graffio, una smorfia, una mano straniera che ti cerca e ti chiude la porta.
E cercarti, e trovarti e non trovare niente,
solo qualche cosa che ci chiama da sempre dal profondo di un abisso, dove precipitiamo e tutto resta teso,
e restiamo aggrappati a un respiro sospeso,
e in cima a quel respiro, precipitiamo ancora verso una notte larga,
e mi tuffo dentro ai tuoi occhi chiari, dove il tempo si rompe e si cade soltanto,
e non si sa dove, non si sa più quando;
e ti guardo ascoltare una melodia che da un momento all'altro potrebbe andare via.
E lasciarmi da solo a morire nella sala d'aspetto dell'ospedale,
dove si aspetta il turno preparando le parole da dire al medico,
dentro questo paese dei balocchi che si rompe ogni volta che sposti lo sguardo.
Le mie mani diventano parole, e le parole canzone che mi ritrovo addosso.
E non mi sembra mia, perché c'era da prima che l'avessi inventata,
ed è venuta solo per farmi compagnia e per farmi addormentare come ci si addormenta al rumore del mare.
Per risvegliarmi all'improvviso,
e dovrai di nuovo cantare questa canzone,
e la canterai per il pubblico, per la gente, una canzone dedicata a questa strana cosa che non si lascia dire,
a questa strana cosa che ci dipinge per quello che siamo...
Questo strano dolore, questo dolore strano.
Antonio Gianotti
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