Vereto, centro messapico identificato con la mitica Hyrie (la città madre della Iapigia secondo lo storico greco Erodoto), sorgeva su un altopiano a 140 metri s.l.m., lungo il percorso della via Sallentina. La posizione strategicamente ottimale permetteva ai suoi abitanti di controllare l’intera pianura sottostante che da Torre Vado si stende sino a Santa Maria di Leuca e un’ampia area compresa tra gli odierni centri urbani di Montesardo e Castrignano del Capo
Le ricerche archeologiche e i rinvenimenti fortuiti, effettuati nel territorio, hanno consentito di ricostruire la sua articolata storia insediativa d’età iapigio-messapica, a partire dalla prima età del Ferro fino alla romanizzazione del Salento, quando la città divenne municipium.
La presenza di ceramica d’impasto dell’età del Ferro e il rinvenimento di resti di capanne attestano una frequentazione a partire dal IX sec. a.C. La fase arcaica è documentata da frammenti di ceramica di produzione locale e da alcune iscrizioni in lingua messapica, incise su cippi in calcare provenienti da contesti funerari.
In età ellenistica l’area dell’insediamento venne cinta da mura in grandi blocchi isodomi di calcare. Il tratto maggiormente conservato è visibile, per un’altezza massima di quattro filari, in corrispondenza del limite sud-occidentale dell’abitato antico. I blocchi di calcare sono messi in opera alternativamente di testa e di taglio, secondo una tecnica costruttiva già nota in ambito messapico. Alcune indagini archeologiche, effettuate lungo la via vicinale Usca Pagliare, hanno riportato alla luce parte delle imponenti fondazioni della cinta muraria. Si tratta di un muro pieno largo circa 4 metri, costituito da tre file di blocchi squadrati posti di testa e di taglio; lo spessore e la lunghezza dei blocchi risultano costanti (m. 0,32 x 1,57), la larghezza varia dai m. 0,90 dei blocchi di taglio ai m. 0,50 dei blocchi di testa. Le mura cingevano una superficie di 145 ettari, al cui interno si sviluppavano nuclei di abitato alternati a zone libere, destinate all’agricoltura e al pascolo.
Nell’area archeologica veretina si rinvengono numerosi blocchi, spesso riutilizzati nei muri a secco, e strutture ancora parzialmente interrate, che potrebbero appartenere a edifici messapici costituiti dai tipici ambienti a pianta quadrangolare con fondazioni in blocchi squadrati, alzato in spezzoni lapidei e copertura in tegole.
I MESSAPI
Un popolo veramente misterioso, questi Messapi. Non si sa innanzitutto da dove siano giunti. Secondo alcuni sono una popolazione dell’Illiria, altri sostengono siano comunque un popolo ellenico, altri ancora, basandosi sui riscontri letterari, sostengono siano Cretesi, come dimostrerebbe la loro modalità civilizzatrice per così come si sviluppò nel Salento.
Ciò che è certo è che furono un popolo estremamente religioso, attaccato al culto dei defunti in maniera così devota da conferire alle proprie massime due divinità, Tiotor Andrilao e Bama, il dominio dei cieli, del mare e dell’oltretomba.
Le testimonianze archeologiche che nel Salento rimangono dei Messapi riguardano infatti il particolare modo col quale questi usavano seppellire i propri morti, in enormi sarcofagi di carparo, come quelli che sono conservati nel museo civico di Gallipoli. L’inumazione, pratica funeraria già diffusa nel Salento in epoca pelasgica, fu dai messapi riadoperata secondo canoni tipicamente indoeuropei: all’interno dei sarcofagi, molto grezzi e squadrati, essenziali nella forma come nel messaggio di eternità che da essi doveva promanare, era inciso il nome del defunto, che veniva sepolto con tutte le suppellettili che gli sarebbero state utili nel regno dei morti. I guerrieri ed i re, venivano sepolti con indosso le loro armature, le spade, le trozzelle istoriate con figure prevalentemente geometriche e con gli amuleti ed i tesori che sarebbero stati essenziali per affrontare il difficile viaggio dell’anima nell’aldilà.
Ad accogliere l’anima del defunto i due monarchi della terra, dei mari e dei cieli, erano Bama e Tiotor Andrilao (o Taotor Andrilabas), ai quali era associato un politeismo nel quale altre divinità compartecipavano al governo delle forze naturali e soprannaturali. Tra di esse Thana, dea della luna e delle foreste, Batas, il dio della folgore, e Bes (o Besa), la divinità che soprintendeva alla protezione della malasorte, sul modello della quale sarà poi costruita la figura dello “Scazzamurieddhu” (o “Lauru” lo gnomo dispettoso di tanti racconti della cultura contadina). Bes era infatti un ometto pelato, basso e pingue, barbuto e con le gambe storte, del quale vi sono raffigurazioni sui reperti conservati presso il Museo “Castromediano” di Lecce. Bes era invocato non solo come protettore dalla malasorte ma anche come nume tutelare della fertilità data la sua natura itifallica, venendone riprodotta la figura in corrispondenza dei crocicchi ed all’ingresso dei fondi.
La sede del culto di Tiotor Andrilao e di Bama era la Grotta della Poesia, presso Roca Vecchia, una delle prime località, come testimoniano evidenze archeologiche, di approdo dei Messapi. La grotta della Poesia, già luogo di culto di Medh, venne riutilizzata data la sua singolare struttura a tre caverne, l’ultima delle quali è raggiungibile solo tramite un sifone. In essa i Messapi incisero più volte il nome del loro dio ctonio, Tiotor, assurgendo la grotta, nella religione messapica, non più simbolo del ventre materno, ma del passaggio tra il regno della vita e quello dell’oltretomba.
Bathas, dio della folgore e della luce, adorato presso la grotta della Porcinara, a Santa Maria di Leuca, Come anche la dea Thana, venerata nel sacello dello Scalo di Furno, presso Porto Cesareo, sono divinità simili, nei tratti e nel culto a dei di un popolo che coi Messapi ha fin troppe corrispondenze, ossia gli Etruschi.
Nel V secolo a.C. i Messapi si unirono in una lega sacra, modellata secondo una struttura tipicamente etrusca, ossia la dodecapoli, nella quale il numero sacro 12 era la cifra della compiutezza (la riduzione di 12 è infatti 1+2=3, numero della perfezione e 3 x4 – numero della terra - è uguale nuovamente a 12) della ricomposizione della totalità originaria, la discesa in terra di un modello cosmico di pienezza e di armonia. La Lega, fondata su un solenne giuramento di fedeltà, fratellanza e reciproco aiuto, non solo mise fine ai dissidi che vi erano stati tra le varie comunità, ma costituì il germe dell’unità politica ed ideale del Salento come entità politica, insomma, il cuore stesso della nostra Identità.
Le Città fondate a quel tempo dai Messapi erano infatti molte più di dodici. Nella mappa di Soleto, l’ostakon portato alla luce nel 2003, figurano infatti solo le città messapiche del Salento meridionale, ossia Hydrus (Otranto), Taras (Taranto), Baletion (Alezio), Ozan (Ugento), Nareton (Nardò), Sollytos (Soleto o Sallentum, la Capitale messapica), Mios (Muro Leccese), Sty (Cavallino), Lios (Leuca), Lik (Castro), Baxta (Vaste), Thuria (Roca), e Graxa (Gallipoli), mentre la dodecapoli messapica era formata invece da Alytia (Alezio), Ozan (Ugento), Brention/Brentesion (Brindisi), Hyretum/Veretum (Vereto), Hodrum/Idruntum (Otranto), Kailia (Ceglie Messapica), Manduria, Mesania (Mesagne), Neriton (Nardò), Orra (Oria), Sybar (Lecce), Thuria Sallentina (Roca Vecchia).
Giuliana