lunedì 22 febbraio 2016

SOLETO (LE): L’ALCHIMISTA MATTEO TAFURI E LA GUGLIA by Giuliana

Vie strette e antiche mura, ma soprattutto una piccola piramide antichissima che testimonia come questo paesino sia stato fondato da quel popolo misterioso che erano i messapi. Ma una delle cose più strabilianti di questo paesino leccese è il ritrovamento della minuscola mappa di Soleto, graffita su un vaso di terracotta nel 500 a.C circa.
Soleto fin dall'antichità fu considerato il luogo della magia: una magia data dalla natura, ma anche fatta di superstizione e di malocchio. Qui, in questa cittadina a pochi km da Lecce, sono famosi i riti delle macare e le epigrafi incise sulle case. Su una di queste ancora si legge: Fortuna Quod Vult. 
Ma parlare di Soleto e non citare Matteo Tafuri è impossibile.
Sulla sua modesta casa di Soleto si può ancora leggere questa frase: Humile so et humiltà me basta, dragon diventaro se alcun me tasta. 
Secondo alcuni con questa iscrizione Matteo Tafuri manifestava a chiunque passasse davanti alla sua casa la sua mite natura, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Secondo altri invece l’iscrizione è una vera e propria minaccia, un avvertimento a lasciarlo fare. 
In ogni modo il tutto è corredato da uno stemma enigmatico. Ma chi era Matteo Tafuri? Certamente un filosofo, un alchimista, un letterato, un medico, un poeta, un teologo, un astronomo, un matematico e un astrologo. Eppure ancor oggi il suo personaggio è avvolto nella leggenda e le uniche notizie ufficiali su di lui si trovano ne Il Codice Vaticano 2264. Nacque a Soleto nell'anno della scoperta dell’America e dopo aver trascorso una vita in giro per il mondo ritornò nel suo paese natale ove morì quasi cento anni dopo nel 1584. Tafuri ebbe una vita intensa e movimentata a tal punto che rischiò di essere bruciato sul rogo perché sospettato di stregoneria. Nei suoi anni trascorsi a Napoli si interessò di Astrologia dalla quale apprese di possedere un istinto innato per la divinazione. Forse proprio questa sua “abilità” potrebbe essere stata la causa della sua prigionia in Irlanda ove fu accusato di stregoneria. Ma Tafuri da Soleto non andò solo a Napoli, ma anche a Venezia, dove in un momento di rabbia e disperazione bruciò buona parte dei suoi scritti. Poi in Polonia, Germania, Francia dove si laureò all'università della Sorbona in Medicina e Filosofia, e poi ancora in Spagna, Africa Settentrionale, Persia ed Asia.
Ma veniamo all'aspetto più esoterico del personaggio. Dopo essersi laureato alla Sorbona fu frequentatore assiduo della corte parigina ove entrò in contatto con le correnti ermetico esoteriche dell'epoca. I dotti del tempo come Giovan Battista della Porta e il Chioccarelo, misero subito in evidenza l’aspetto esoterico delle conoscenze di Matteo Tafuri e le sue capacità magico-divinatorie. Nonostante ciò il famoso chirurgo Mariano Santo da Barletta lo citò nella prefazione del “Commentario dell’opera di Avicenna”.
Insomma siamo di fronte a un personaggio eclettico che pur se in odore di magia era rispettato per le sue conoscenze anche dagli “scienziati dell’epoca”.
Eppure a Soleto si colse solo l’aspetto negativo della popolarità del proprio concittadino. Infatti Tafuri non era visto come il dotto e il sapiente che l’Europa acclamava ma come un pericoloso mago capace dei più oscuri incantesimi. Nel suo paese natio si dedicò all'insegnamento di greco, latino, matematica, fisica e all'esercizio della professione medica, ma sembra avesse anche un cenacolo di allievi filosofi seguaci del platonismo esoterico. Questo Socrate di Soleto, era un uomo eclettico e intellettuale. Amava la conoscenza e i suoi interessi erano poliedrici: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisionomica e magia naturale. Proprio quest’ultima costituiva forse il nucleo dei suoi studi: analizzare i fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato. Bisogna ricordare che ci troviamo in pieno rinascimento e spesso la figura di Tafuri fu accostata a quella, ben più nota, di Nostradamus. Esercitò con successo la professione medica ma fu dai popolani considerato “Mago” in quanto cultore di scienze inusuali quali l'Astronomia e l'Astrologia. La sua fama divenne ambigua. Tafuri era onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche e in molti gli attribuirono poteri occulti e di avere pericolose frequentazioni con il demonio. Matteo da Soleto, così era conosciuto nel mondo, fu costretto a difendersi dall'accusa di praticare la stregoneria anche in patria. Più volte fu arrestato e interrogato per cercare di comprendere da dove provenissero le sue indubbie capacità divinatorie ma fu sempre rilasciato.
Entrando nella Chiesa Matrice di Soleto, nella navata sinistra i più curiosi potranno osservare un dipinto del 1580 ove Matteo Tafuri ha in testa il rosso copricapo della Sorbona.
Ma questo “mago” lasciò nel paese la sua firma indelebile con la realizzazione della Guglia della chiesa madre di Soleto su ordinazione del conte Orsini del Balzo. Fu proprio questa nobile famiglia che volle la realizzazione della Guglia, oggi annoverata tra i monumenti nazionali italiani. La torre è alta ben 45 metri e si pensa sia stata ultimata nel 1417. 
La costruzione della Guglia che spicca sulla pianura salentina è però circondata dalla leggenda.
Messer Matteo Tafuri decise di costruire il monumento in una notte di tempesta, evocando dal regno delle tenebre con artifici diabolici, un esercito di spiriti infernali, streghe e demoni. Ordinò alle potenze ctonie di erigerla in un’unica notte e il risultato avrebbe dovuto essere così mirabile che avrebbe dovuto stupire il mondo intero. La leggenda vuole che al lume delle torce la schiatta satanica lavorò per ore senza posa, emettendo richiami rauchi e tenebrosi, urla, schiocchi, sghignazzate, fischi e strepiti, in una confusione “infernale”. Poi al canto del gallo tutto cessò. Diavoli e streghe scomparvero immediatamente ma alcuni demonietti, che si trovavano ancora sulla cima del campanile, furono sorpresi dalla luce del sole e furono trasformati in pietra. Basta alzare lo sguardo per notare infatti come sulla guglia ci siano alcune strane e lugubri sculture, molto simili ai gargoyles di Notredame… in ogni modo le statue presenti sulla guglia non si trovano in nessun altro angolo del Salento…
La bellissima guglia di Soleto è uno dei capolavori di Terra d’Otranto ed è ben nota a tutti i pugliesi per la sua storia e per la ricca decorazione che offre.
Chiunque arrivi nelle operosa cittadina è accolto dalla maestosità dell’opera quadrangolare e dal fine lavoro di ornato che sembra scatenarsi dal terzo ordine in poi, per quietarsi nel tiburio ottagonale, librandosi nel cielo del Salento attraverso le maioliche policrome del capolino conclusivo. Indescrivibile la sensazione provata quando lo si osservi al tramonto, quando la luce solare radente esalta ogni minimo ricamo lapideo esaltandone la bellezza e l’originalità.
Le singolari bifore, gli intagli e i numerosi arabeschi, le colonne tortili, i numerosissimi mascheroni zoomorfi e antropomorfi, i superbi grifoni, le cornici trilobate, la straordinaria e delicata balaustra rendono merito all'orgoglio cittadino soletano e alla sua inclusione tra i monumenti nazionali. Spiace, ancora una volta, constatare quanto l’arte meridionale, e salentina in particolare, sia poco considerata e pubblicizzata.
La spettacolarità della guglia, ma soprattutto le centinaia di figure umane e bestiali scolpite nella tenera pietra leccese, hanno provocato da sempre la fantasia del popolo salentino, che ancora oggi ricorda come la terra di Soleto sia sempre stata “terra di màcari” e di magie. L’aveva realizzata in una sola notte il mago per antonomasia, Matteo Tafuri, con l’aiuto dei diavoli che, sorpresi ancora al lavoro mentre arrivavano le prime luci dell’alba, furono pietrificati ai quattro angoli della guglia.
La Guglia Orsiniana, con i suoi 45 m di altezza, rappresenta la sintesi e l’emblema del paese. Fu realizzata nel 1397 da Francesco Colaci di Surbo, su commissione di Raimondello Orsini del Balzo, Conte di Soleto e Principe di Taranto, che fu instrumentum della politica pontificia ostile ai greci: la guglia era considerata come un atto di imposizione formale di un linguaggio esclusivamente latino in una comunità totalmente greca. L’edificio ha forma quadrata e racchiude in sé ben cinque ordini architettonici. Il piano-base è particolarmente spoglio ma le decorazioni crescono man mano che la torre s’innalza; il primo ordine, privo di finestre, è marcato da una cornice ad archetti trilobi, anche il secondo ordine è privo di finestre ma caratterizzato da una doppia cornice ad archetti trilobi. Nel terzo ordine compaiono le finestre bifore, numerosi motivi floreali, mensole e archi con teste scolpite; ogni bifora è divisa da una colonnina tortile che termina in una decorazione a forma di cuore innestata in un arco gemino trilobato. Il quarto ordine vede la ripetizione di queste decorazioni e le stesse finestre che però sono circondate da una balconata ornata. L’ultimo ordine è costituito da un tiburio ottagonale con una finestra bifora su ogni lato, sormontata da frontoni trapezoidali e colonnine angolari sostenenti leoni alati. Il cupolino conclusivo, precedentemente rivestito di mattoncini verdi e gialli, ed ora di pietra, ha forma sferica e risale al XVIII sec.

Giuliana

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