lunedì 4 gennaio 2016

I CELTI: LA CROCE CELTICA - L'ALBERO DELLA CUCCAGNA - TRADIZIONI E STORIA ITALIANA by Giuliana

Caduti sotto i colpi dell'impero romano dopo aver governato su gran parte dell'Europa per oltre 800 anni, i popoli e le tribù celtiche vissute tra l'VIII e il II secolo a.C. hanno lasciato a testimonianza della loro fiorente civiltà, imponenti fortezze, torri, mura e cimiteri ancora oggi avvolti in un alone di mistero.
La croce celtica:
Sin dalla più remota antichità e presso molte culture, la croce è stata un simbolo carico di significati complessi: i punti cardinali, i quattro elementi dell’universo (acqua, terra, aria, fuoco), le stagioni.
È probabile che la croce celtica, costituita da due braccia inscritte in un cerchio, rappresentasse l’universo, il cui centro corrisponde all'intersezione delle braccia. In seguito fu adottata dal cristianesimo irlandese.
Nel secondo dopoguerra, la croce celtica divenne simbolo di alcuni movimenti di destra che si richiamano alla civiltà dei celti, popolo formatosi tra il Reno e il Danubio attorno al II millennio avanti Cristo e diffusosi in tutta Europa tra il VII e il IV secolo a.C. 
Quei movimenti considerano la cultura celtica, basata sull'aristocrazia e sulla guerra, come quella originaria e più autentica dell’Europa, non “contaminata” da successive immigrazioni e invasioni.
L'albero della cuccagna:
Da noi, nelle sagre paesane in cui è sopravvissuta, la cuccagna è un gioco popolare in cui i contendenti si arrampicano su un palo ricoperto di grasso scivoloso per accaparrarsi generi alimentari. 
L'origine di questa tradizione popolare si perde nella notte dei tempi ed è probabilmente legata al culto celtico della fertilità. In particolare, le popolazioni germaniche hanno da sempre venerato gli alberi e festeggiato la loro fioritura con doni e offerte.
La storia:
Il passaggio del popolo celtico in Italia lo possiamo notare nella zone da alcuni strani toponimi. Un esempio è il Dio Penn o Pennin , antica divinità celtica adorata in varie luoghi in Italia. Letteralmente “penn” significa “cima”, “sommità”, alcuni storici romani come lo stesso Catone ne parlano come di una misteriosa divinità femminile, la dea Pennina. Successivamente il culto fu pian piano dimenticato e questo a causa dei romani che sostituirono ad un culto femminile, uno maschile, quello di Giove, poi detto Pennino. Ma la vera e propria distruzione del culto fu a causa della venuta della Cristianità, quando Carlo Magno, iniziò a minacciare pene gravissime per i contadini che erigevano simulacri in pietra o veneravano delle pietre in luoghi di culto tutt'altro che cristiani. Ancora una volta il culto femminile della “pietra”, la vergine nera celtica, anche se sotto altro nome veniva pian piano debellato. A ricordo di questo antichissimo culto, però, troviamo ancora strani toponimi in tutta la nazione: le Alpi Pennine, gli Appennini o ancora il monte Pennino, Penna e molti altri luoghi ove ancora oggi si può “ascoltare” la magica atmosfera di antichi riti. 
Una traccia del culto di “Penn” la ritroviamo, a Finale Ligure. Qui è presente una strana incisione rupestre ove è rappresentata una divinità celtica prima e poi ligure databile 3000-2000 a.C., per alcuni proprio l’immagine di Penn.
Un’altra antica reminiscenza celtica, poi oscurata ancora una volta dalla religione Cristiana è senz'altro la figura maschile del Dio Lug. 
Ancora oggi, In molti paesi della Puglia e non solo, vi è la tradizione di accendere, in onore di sant'Antonio grandi falò (es. la Focara di Novoli Lecce), di origine pagana e in particolare celtica. Sant'Antonio fu un anacoreta egiziano del III-Iv sec. Asceta e mistico, caratteristiche che ritroveremo anche in seguito nella figura di Sant'Isacco di Spoleto. Quando i crociati trasferirono le spoglie del Santo in occidente e in particolare ad Arles, in Francia meridionale, il suo culto si diffuse a macchia d’olio, ma proprio nella sua veloce diffusione il culto del santo si scontrò con il culto pagano di una antica divinità celtica, quella del dio Lug, rappresentato come un giovane che reggeva un cinghiale, animale particolarmente sacro al “popolo della quercia”. Il dio Lug era una delle divinità più importante dell’ ”olimpo” celtico, come dimostrato da numerosi toponimi di molte città come LUGano e LUGo,  Ebbene, ancora una volta, con una intensa opera di sincretismo, Sant'Antonio fu associato e sovrapposto al culto preesistente. Secondo la storica Riemscheider gli attributi di sant'Antonio sarebbero stati proprio ripresi dal dio celtico, Sant'Antonio divenne guardiano dell’inferno come lo era Lug, dispensatore di fuoco agli uomini (e da qui la tradizione dei falò). La chiesa, ingentilì il cinghiale trasformandolo in un maialino con un campanello al collo dal quale il santo era sempre seguito, dicendo che era un diavolo ammansito dal santo. Del resto il cinghiale , ancora simbolo dei riti pagani delle “foreste” ben si prestava ad esempio di conversione legata al santo. Anche la campanella del maialino sarebbe un simbolo di vita e di morte, secondo la cultura celtica, infatti la campana rappresenta l’utero della dea madre, di cui Lug era figlio. Una piccola curiosità, Sant'Antonio era il protettore dei fabbricanti di spazzole, che nell'antichità si facevano proprio con le setole di maiale.
I celti in Italia e, in particolare, in Umbria, regione fortemente legata al “popolo della quercia” come dimostrato anche dalla forte somiglianza tra il dialetto Umbro e la lingua dei Celti, che oggi ritroviamo pressoché intatta nel gaelico. Per esempio l’articolo “Il” è pronunciato sia in ternano che in gaelico come “LU”, oppure pensiamo alla frase “U PORCHELL GUAEL” che significa “il porcello è malato” in gaelico e che in ternano si pronuncia come “LU PORCELLU GUAJI”. E così tante altre similitudini, che sono ASUN , MUL , GAPR , rispettivamente l'asino, il Mulo e la Capra. 
Ebbene, da molto tempo il prof. Farinacci, fondatore di una associazione che ha per scopo il dimostrare l’origine celtica delle popolazioni e tradizioni locali, ha cercato di far capire come profonde sono state le influenze celtiche nella regione. 
Gli indizi sono molteplici, come, per esempio, il tempio solare presente a Monte Spergolate, vicino Strocone. A Torre Alta è presente, per esempio, un osservatorio astronomico costituito da una roccia isolata, quasi a forma di Menhir, in cima alla quale era scavata una vaschetta quadrangolare tenuta sempre piena d’acqua, così da farvi specchiare le varie costellazioni. Ogni anno, alla mezzanotte del 24 Giugno, puntualmente si specchiava l’Orsa Maggiore; quando questa era perfettamente a perpendicolo con la vaschetta, che indicava l’inizio del solstizio d’estate, si accendeva un grande fuoco che veniva avvistato nell'altro osservatorio sui monti di Stroncone, da dove veniva acceso un altro fuoco così da segnalare a catena il fatidico momento a tutta la zona della bassa Umbria. Avevano così inizio i festeggiamenti dell’estate con i riti notturni propiziatori.
In tutta la regione sono poi presenti mura “poligonali”, come a Cesi o alla stessa Spoleto , antecedenti alla cultura romana e che caratterizzano fortemente culture e popoli legati alla “terra”, e che ritroviamo , poi, anche nel Lazio, spesso attribuiti al mitico popolo dei Pelasgi. A Cesi, cittadina di origine Umbra, il professor Farinacci avrebbe individuato la cosiddetta “pietra runica di Cesi”, una pietra che reca diversi segni runici e ritrovata nel sito che lui stesso definisce “santuario del culto fallico”, culto dl quale ritroveremo indizi celati anche a Carsulae.
La presenza di segni runici, il linguaggio dei Druidi, non è poi così rara in italia, sembrerebbe che anche nel santuario di San Michele sul Gargano siano presenti alcuni di questi strani simboli. 
In Umbria e in particolare a Carsulae e al suo culto del priapos, che ricorda da vicino antichi riti di fertilità, legati alla divinità solare che, metaforicamente ,con i suoi raggi trasformati in pietra , i menhir, andava a render fertile la Madre Terra. Il menhir sarebbe composto da un cilindro in base, e fu poi “censurato” nell'aspetto dai romani che sostituirono in capo un cono. Conferma di questi riti di fertilità che si avevano nella zona sarebbe la presenza di strani simboli sotto il menhir che, come afferma lo stesso Prof. Farinelli, rappresenterebbero i segni zodiacali e il cosi detto “fiore della vita”, appunto simbolo di fertilità, posizionato verso oriente, ove nasce il sole, l’elemento maschile che rende fertile, tramite il “Priapos” l’elemento femminile: la terra. Il santuario del culto fallico sarebbe ove si trova la chiesa di San Damiano, era qui che gli iniziandi venivano portati per il sacrificio rituale ed è qui che è ancor visibile una “pietra sacrificale”, ove, appunto, verosimilmente venivano effettuate le offerte alle divinità.
Il culto del Priapos , fu dunque fortemente osteggiato dalla Chiesa romana, che, come dice lo stesso prof. Farinacci, censurava qualunque notizia di luoghi o culti pagani affinché essi fossero definitivamente abbandonati. E’ per questo motivo che poco si sa e si conosce dell’antica tradizione celtica a Carsulae.
In particolare in Umbria, questo compito risultò particolarmente complesso anche grazie alla presenza dei Longobardi del Ducato di Spoleto, sempre pronti ad intervenire per bloccare sul nascere ogni tentativo di distruggere la loro capitale religiosa e polo di attrazione della cultura celtica italiana. L’importanza dei longobardi nel mantenere le tradizioni celtiche è evidentemente importante, saranno infatti costoro che, in tutta Italia e in particolare anche in Puglia, regione abbastanza lontana dalle tradizioni celtiche si conserveranno le “memorie” di questo antico popolo, come accennavamo precedentemente per i Falò e le iscrizioni runiche a Monte Sant'Angelo.
Tra le varie “tracce” celtiche presenti nel sito vi è quella del mosaico con le svastiche e il nodo gordiano che faceva parte del complesso di edifici del Santuario del Culto Fallico, su cui fu poi costruita la chiesetta dei santi Cosma e Damiano e il mosaico presento ora nel Museo Civico di Spoleto. Nel mosaico sarebbe rappresentato un uomo che porta un bastone con in cima una grande scacchiera e che mentre cammina orina. L’uomo del mosaico sarebbe sicuramente un Druido, l’atto di “orinare” rappresenterebbe un antico rito magico per la preparazione dell’”Acqua Santa”, preparata mescolando appunto l’orina all'acqua. La scacchiera, oltre ad essere un importante simbolo tellurico, rappresenterebbe l’insieme delle tribù celtiche che facevano appunto capo a Carsulae. 

Carsulae sarebbe così un luogo con forti valenze magiche ed energetiche, sarebbe anche presente l’ingresso per il regno dei morti, quello che oggi è chiamato l’arco di San Damiano, ma che in realtà sarebbe la porta di Saman. Il 2 novembre vi era la tradizione che, nel congiungimento tra vivi e morti, la gente si stendeva per i campi e beveva idromele e si cibava con fave lessate, usanza ancora in uso in Umbria. 
Molte altre sarebbero gli esempi che si possono portare a testimonianza delle “celticità” dei luoghi umbri, tra cui la chiesa di San’Ansano a Spoleto. Ebbene questa chiesa presenta una interessantissima cripta, alcuni dicono di origine romana, ma potrebbe esser molto più antica. La cripta è dedicata a San Isacco. Questo personaggio è abbastanza enigmatico, il santo proveniva dalla Siria e visse attorno al V secolo, visse come eremita nei boschi di quella località che oggi viene chiamata Monteluco, luogo rivestito di un fitto bosco di elci e che doveva esser sacro fin dall'antichità dato il fatto che “lucus” significa “bosco sacro”. Tutt'attorno a Sant'Isacco, la copia del cui sepolcro, è custodita all'interno della chiesa, sorsero una serie di leggende e tradizioni, rapidamente si creò una laura di anacoreti disseminati per tutta la montagna. Ebbene la figura di sant'Isacco, molto prossima a quella dei sacerdoti druidi che avevano il loro tempio nei boschi, ha un forte legame con le forze naturali, infatti tra i vari affreschi della cripta, ne è presente uno in particolare che rappresenta San Isacco che “doma” il Caprone , proprio simbolo di vittoria del santo sulle forze naturali, non però come l’uomo che le sconfigge, bensì l’uomo che impara ad usarle e le rispetta.

Giuliana

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